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La riforma previdenziale ed il debito pubblico. Napolitano accusa lo statale di essere lui il comunista da eliminare.

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Di Andrea Atzori
 
 
 

Un semplice esempio, per comprendere meglio questa brutale realtà. Il sistema previdenziale introdotto da Monti-Napolitano, è quello di mandare in pensione gli impiegati dello Stato a 65 anni, per agevolare coloro che hanno conseguito 40 e più di contributi previdenziali, così come preteso ed imposto dalle confederazioni sindacali. In base al decreto legge n.101 del 2013, anche i dipendenti con il minimo contributivo ed il requisito anagrafico non possono stare al lavoro fino a 70 anni per aumentare l'importo della pensione. Ai lavoratori pubblici viene negato un diritto spettante a tutti i lavoratori privati, riconosciuto in base al principio che chi sta più a lungo al lavoro grava di meno sulle casse dello Stato. Cioè per un obiettivo di risparmio erariale. A parte l'evidente lesione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, è evidente di come il legislatore, se così è degno di essere chiamato un  mostro del genere, si sia lasciato andare a puri istinti di odio di classe sociale. Il dipendente pubblico, punito solo per il fatto di essere tale, cioè uno statale, cioè un socialista, cioè un comunista. Vera follia di massa, che descrive bene questo fenomeno per cui a questi personaggi assurti al potere, non interessi l'andamento dell'economia, ma la soddisfazione meschina di certi istinti di pura e vile vendetta personale. Il debito cresce e crescerà sempre, essendo l'obiettivo di costoro, non quello di risolvere i problemi della crisi, ma quello di scatenare una lotta di classe diretta a punire i comunisti, cioè i dipendenti pubblici. Napolitano, il primo e più grande comunista di questa terra, ha il coraggio di fare tutto questo. Siamo, credetemi, alla fine del mondo!


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