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Di Andrea Atzori
Berlusconi sostiene la teoria del complottismo ai suoi danni, per le note vicissitudini giudiziarie che lo riguardano. La teoria propagandata da lui ed i suoi legali si fonda sull'assioma che, siccome è il presidente del partito azienda PDL, votato da milioni di italiani, egli non sarebbe assoggettabile alle leggi dello Stato italiano. Uno Stato notoriamente retto da leggi comuniste, come egli afferma, nonostante, da oltre vent'anni egli stesso ne regga le sorti, con gli esecutivi da lui diretti. Ha tentato, infinite volte, di trasformare i capisaldi della nostra costituzione per renderli conformi alle sue esigenze personali, cioè farne un "legibus solutus", al di sopra della legge, come il re sole Luigi XV°, che dichiarava, solennemente, lo Stato sono io. Egli afferma che sarebbe colpo di Stato, in quanto si tratterebbe di un sistema escogitato al fine di impedirgli di governare. Si qualifica come un perseguitato politico, un uomo senza diritti! Roba da scatenare la terza guerra mondiale contro questi giudici che a volte sono comunisti, altre volte, letteralmente, udite udite, fascisti. Insomma un perseguitato politico che vanta a suo favore un record forse mondiale di processi estinti per prescrizione, cioè per decorrenze dei termini. Rinvii su rinvii, chiesti ed ottenuti per benevolenza delle Corti giudicanti, che nessun altro cittadino al mondo, men che mai un perseguitato politico, potrebbe mai annoverare a suo favore. La lotta si sta facendo serrata a causa del fatto che il processo Ruby si sta avvicinando alla sua naturale conclusione ed egli vuole evitare che la sentenza arrivi prima della elezione del nuovo presidente della repubblica alla cui carica si vorrebbe candidare, per potersi poi fare scudo della immunità da essa garantita. Un pedofilo al Quirinale per volontà popolare, una bella favoletta da raccontare ai bambini italiani come augurio di buona notte. Adduce e fa addurre dai suoi difensori, entrambi parlamentari del PDL, la sua indisponibilità di partecipare al processo a causa della complicazione di una malattia ad un occhio, c.d. congiuntivite, che avrebbe indotto i medici del San Raffaele di Milano a ricoverarlo. Il PM, Boccassini, chiede la visita fiscale, ma, ciononostante, il presidente, accorda il legittimo impedimento. Nel frattempo, nel corso di un altro processo, quello di appello sui diritti Mediaset, viene avanzata la stessa richiesta per lo stesso fatto, ma questa volta, al contrario, questo giudicie accoglie la domanda del PM e gli concede la visita fiscale che si conclude con la certificazione dei medici legali della assoluta disponibilità fisica dell'imputato a presenziare all'udienza. Intanto Berlusconi dichiara pubblicamente di dare vita ad una grande manifestazione di piazza, chiamando il popolo dei suoi sostenitori a raccolta per una grande sollevazione popolare contro tutto l'apparato giudiziario, accusato di essere sia mafioso che comunista. Insomma ha già deciso di scatenare la guerra civile in nome della sua immunità personale dall'azione giudiziaria che lo riguarda. Alla fine si corregge e sostiene di volervi rinunciare per rispetto alle istituzioni, ma, non sono dello stesso avviso i vertici del suo partito, il cui quartier generale programma e mette in atto un blitz dei parlamentari eletti del partito dapprima fuori e poi, direttamente, dentro l'aula giudiziaria in cui si celebra il processo c.d. Ruby. Un vero e proprio assalto alle istituzioni in stile fascista, che avrebbe giustificato e richiesto, in punto di legge, l'intervento di tutti gli apparati istituzionale demandati alla difesa della Carta costituzionale. Ma, in questa Italia, certe cose sono come fuori dal mondo. Gli organi di stampa sono timorosi ed il presidente della repubblica, viene, addirittura, chiamato in causa dagli stessi rivoltosi, in loro difesa ed a loro garanzia a nome delle stesse istituzioni contro cui si sono rivoltati. Il presidente li riceve il giorno dopo e si rende autore di dichiarazioni che hanno dell'incredibile, invitando entrambe le parti, Berlusconi e magistrati alla moderazione. Senza nulla togliere al potere dei magistrati di esercitare la loro funzione giurisdizionale garantita dalla costituzione, impone rispetto nei confronti di Berlusconi e dei suoi diritti politici, in quanto presidente del PDL e parlamentare eletto. Ma Napolitano non ha egli stesso, per primo, saputo prendere le giuste misure del suo intervento e non si rende conto di essere uscito fuori dai binari della sua competenza. Pur essendo, come presidente della repubblica, anche presidente del CSM, egli non può interferire dentro al merito delle decisioni assunte dall'organo giudiziario nell'esercizio delle sue funzioni. Non può farlo perchè la costituzione riconosce al magistrato una posizione di indipendenza dagli altri poteri dello Stato, per garantire in pieno, il principio di separazione dei poteri e quello di legalità. Sono i pilastri della nostra costituzione ed un presidente della repubblica che tenti di scalzarli si rende responsabile del reato di attentato alla costituzione e di alto tradimento. Infatti, la magistratura non sta agendo nei confronti di Berlusconi per limitare i suoi diritti politici e, quindi, non come parlamentare o capo di un partiti, ma come cittadino italiano che si è reso responsabile di atti configurabili come reato e, pertanto, perseguibili a norma del codice penale. La cantonata presa dal presidente è paradossale, tanto che un quotidiano a Lui sempre prono e fedele e rispettoso, La Repubblica, pubblica un articolo a firma del suo vicedirettore, Giannini, in cui, seppur nella totale ossequiosità dell'eloquio, viene bene sottolineata e rilevata la gaffe istituzionale da Lui commessa. Tanto che, Napolitano si sente obbligato, il giorno dopo stesso, ad intervenire di nuovo sulla vicenda, per precisare che la sua affermazione non era diretta, in alcun modo, a garantire a Berlusconi alcuna forma di immunità. D'altra parte, anche volendo, egli non ha alcun potere al riguardo, in quanto, in regime di democrazia, vige il principio solenne della separazione dei poteri, per cui il presidente della repubblica non può, assolutamente, interferire con il potere giudiziario. In tal caso, non sarebbe neppure conflitto di attribuzione, ma vero e proprio attentato alla costituzione, che giustificherebbe la messa in stato di accusa del presidente da parte del parlamento a sezioni unite di Camera e Senato e suo deferimento alla Corte Costituzionale, demandata a giudicare per competenza.