DiAndrea Atzori
Dopo la caduta di Hosni Mubarak, a seguito delle rivolte popolari scoppiate in sommovimenti di piazza, salutate nel mondo occidentale come indizio di potenti ventate di modernizzazione degli arcaici regimi musulmani, chiusi ed arroccati nella difesa delle tradizioni dottrinarie dell’antica civiltà islamica, in Egitto si sono tenute quelle libere elezioni di tipo democratico, tanto auspicate e sostenute, anche militarmente dagli Stati uniti. Mubarak, il generale che tenne per trent’anni, dal 14-ottobre-1981 al 11-febbraio-2011, le redini del paese, saldamente, con leggi severe di stampo marziale, dopo l’assassinio del presidente Answar al-Sadat, è stato deposto, processato e condannato all’ergastolo. Quel modello di lotta contro gli inveterati regimi musulmani dei paesi del nord Africa, cioè le rivoluzioni popolari, in verità orde di guerriglieri armati dagli Stati occidentali, in primo piano gli USA, ha trionfato in modo indiscusso e senza incontrare sostanziali resistenze da parte delle altre due superpotenze mondiali, Russia e Cina, non restie a riconoscere il crisma del mandato ONU alla c.d. No Fly-zone, imposta dalla Nato per proteggere l’avanzata dei ribelli. Tanto che dopo la caduta di Mu’ammar Gheddafi in Libia la voglia degli occidentali di riprovarci con un’altra vittima predestinata, li ha spinti a mettere sotto assedio la Siria di Bashar al-Assad. Solo che in quest’ultimo caso, le cose non andate esattamente, come era stato previsto nei loro programmi. L’intervento militare diretto della Nato non potendo svolgersi in forma diretta, tramite mandato Onu, per il veto imposto dai due membri permanenti del consiglio di sicurezza, Russia e Cina, è rimasto sulla carta, ed il crollo preannunciato di Assad, dato per spacciato in modo troppo precipitoso, si è rivelato un vero e proprio falso auspicio, una vacua chimera contradetta dalla prova dei fatti. Il castello costruito dagli americani si sta sbriciolando in mano ai suoi artefici. Non solo Assad sta riprendendo il controllo del territorio siriano, ricacciando indietro l’assalto scatenato dai guerriglieri internazionali armati, equipaggiati ed addestrati dal fronte degli aggressori occidentali, ma lo stesso fenomeno della c.d. primavera araba, in nome della quale il rovesciamento dei legittimi governi islamici è stato organizzato ed eseguito, sta subendo un ridimensionamento tanto radicale da costringere i suoi teorizzatori a meschini ripieghi e contorsioni diretti a negare il misero fallimento in cui stanno sprofondando. In effetti l’unica interpretazione dei fatti degna di considerazione è quella per cui il fermento che agita, dal di dentro, il mondo islamico, è una forma di reazione fisiologica allo stato di terrore in cui esso si trova ormai immerso a seguito della sua elezione a terreno di scontro per la resa di conti tra le superpotenze contrapposte. Azioni di prova di un’imminente terza guerra mondiale. Succede, pertanto, che proprio la Turchia di Erdogan, in predicato per entrare nell’Unione Europea e già membro Nato, fedele alleato USA, nemico acerrimo di Assad e schierato, per un sempre minacciato e mai messo in atto , intervento militare nella guerra in Siria, subisce un terremoto sociale da far tremare le fondamenta del potere costituito. La rivolta del popolo che si ribella al suo capo, per motivi ben ovvii anche se difficili da ammettere. Il popolo di civiltà musulmana non accetta la guerra contro un altro popolo fratello, voluta dai nemici cristiani nel nome di quello scontro millenario tra religioni perdurato fino ai nostri giorni. Nel tentativo di cavalcare la rivolta, qualcuno ha avuto persino la faccia tosta di chiamarla seconda primavera araba. A riprova della falsità e della tendenziosità di questa pseudo-interpretazione, è arrivata anche la nuova rivolta popolare in Egitto, diretta a destituire quel Presidente salito al potere nel 2011 dopo l’esautoramento di Mubarak, cioè Mohamed Morsi, leader dei Fratelli musulmani. Gli eventi sono noti. Morsi viene contestato non perché non espressione della volontà della maggioranza elettorale del paese, ma perché non avrebbe rispettato la costituzione. In effetti in Egitto sta accadendo solo quello che è già in esecuzione nello Stato Turco, in cui il presidente viene contestato dal popolo per la sua totale resa alla volontà degli Stati Uniti. Nonostante si giri e rigiri la minestra, la sostanza è sempre la stessa e non è suscettibile di subire trasformazioni. Il tentativo degli americani di dividere i popoli islamici, per poter imporre meglio il suo giogo, è andato fallito. Mentre poco tempo fa ancora si cantava vittoria, oggi si ricomincia a minacciare l’uso delle maniere forti, per riacciuffare con la forza quello che si tentava di ottenere solo con l’inganno. Morsi è stato messo agli arresti dopo l’intervento dell’esercito che ha revocato tutte le libertà costituzionale e dichiarato la legge marziale, proprio come fece Mubarak a suo tempo. L’unico a cantare vittoria rimane sempre e solo il presidente siriano Bashar al-Assad, che si è tolto due belle soddisfazioni in una sola volta. Si è sbarazzato dei due conclamati nemici islamici venduti al nemico, ed in più ha visto dissolversi per sempre quella leggenda metropolitana che annoverava come primavera araba quel progetto sionista ed Usa di dividere e contrapporre gli Stati musulmani, per meglio sottometterli e dominarli, in applicazione di quel principio romanistico del “Divide et impera”, ancora modernamente in auge. Un eventuale paventato intervento militare americano in Egitto, si troverà di nuovo a subire il veto Onu di Russia e Cina. Specie in questo momento storico particolare in cui la vicenda del datagate, con le rivelazioni fatte dal giovane Edward Snowden, ha rivelato al mondo intero quanto gli Stati uniti siano essi per primi, meno democratici di tutti, ma ormai esponenti di una delle peggiori forme di dittatura fascista mai apparse sulla faccia di questa terra, e, quindi assai poco in condizione di dare insegnamenti agli altri!